Gli interessi che ruotano attorno all’olio di palma sono immensi. Questi interessi economici hanno fatto passare in secondo piano le questioni legate alla sostenibilità, alla salute e all’ambiente. E’ un dato di fatto che l’eccessivo consumo di olio di palma comporti seri rischi per la salute. Ma la convenienza economica di questo olio fa sì che venga largamente usato nella produzione di alimenti,  soprattutto in quelli destinati alle fasce più giovani. Le pressioni delle multinazionali stanno creando grandi disparità nei Paesi in via di sviluppo, dove i terreni vengono sottratti alle popolazioni locali (land grabbing) e dove si attuano politiche di deforestazione selvaggia, con conseguenti effetti disastrosi per il clima, l’ambiente, la biodiversità, il suolo.

Fare finta che questi problemi non esistono ci rende responsabili. Noi siamo qui per denunciarli e trovare una soluzione.

 

 

Il tema di cui parliamo oggi è senza dubbio uno dei più controversi che animano attualmente il dibattito nell’opinione pubblica.

I consumatori esprimono sempre maggiore preoccupazione in merito all’utilizzo di questo prodotto, e abbiamo il dovere di non liquidare queste preoccupazioni come insensate o infondate, come invece sentiamo fare da alcune parti.

Non si tratta di fare una crociata cieca e pregiudiziale contro l’olio di palma: si tratta piuttosto di avere la franchezza e l’onestà di affrontare la questione senza nasconderci i rischi e i pericoli che un suo uso indiscriminato comporta su diversi livelli.

Attualmente l’olio di palma rappresenta da solo il 60% dell’olio vegetale importato in Occidente: è chiaro perciò che gli interessi economici sottesi a questo commercio sia da parte degli importatori che da parte dei Paesi esportatori sono immensi. Purtroppo, come spesso capita, questi interessi economici hanno fatto passare in secondo piano le questioni legate alla sostenibilità, alla salute e all’ambiente.

Innanzitutto, sappiamo che l’eccessivo consumo di olio di palma comporta seri rischi per la salute. Come riportato in un dossier dell’EFSA pubblicato il 3 maggio scorso, emerge che durante la raffinazione l’olio di palma perde molte delle sostanze nutritive che presenta allo stato grezzo e sviluppa invece acidi grassi che possono essere molto dannosi. Soprattutto se assunti in dosi eccessive. E sempre l’EFSA ci dice che, effettivamente, in media i minori europei assumono questi acidi grassi in quantità ben superiori a quella giornaliera consigliata.

Una maggiore attenzione nell’utilizzo e nel consumo, quindi sia da parte dei produttori che dei consumatori, si impone perciò al fine di evitare l’insorgenza di gravi patologie nella popolazione. Cosa che ora non avviene, invece, perché la convenienza economica di questo olio fa sì che venga largamente usato nella produzione di alimenti, soprattutto in quelli destinati alle fasce più giovani.

Ed a questo consumo in aumento si lega anche il secondo risvolto negativo: l’accrescere della domanda da parte dei produttori fa sì che sempre più terreni vengano destinati alla coltivazione delle palme.

Questo, a sua volta, impatta negativamente sia sui terreni già coltivati, che su quelli ancora incolti.

Per quanto riguarda i primi, infatti, l’appetibilità del commercio e le pressioni da parte delle grandi multinazionali sta progressivamente convertendo i terreni agricoli dei Paesi in via di sviluppo in grandi estensioni di monoculture, riducendo le produzioni che sarebbero invece utili al sostentamento di quelle popolazioni.

In molti casi, si accentuano fenomeni come il land grabbing da parte di grandi compagnie che creano latifondi a danno dei piccoli agricoltori, che si ritrovano ad ingrossare le fila di quella povertà urbana che sta diventando una sempre più grave emergenza.

Dall’altro lato, inoltre, spinge i governi di questi Paesi a optare per politiche di deforestazione, con conseguenti effetti disastrosi per il clima e per l’ambiente, la riduzione della superficie delle foreste, l’appiattimento della biodiversità, l’impoverimento del suolo (le palme consumano moltissimi dei nutrimenti del terreno) e la perdita del patrimonio naturale di quei Paesi

Fare finta che questi problemi non esistono ci rende responsabili. Una strategia per risolverli va trovata. Se essa possa essere rappresentata da una produzione “sostenibile” dell’olio di palma, è da verificare.

Accademici e scienziati dibattono ancora sulla reale “sostenibilità” di questa coltivazione, e certamente non possiamo accontentarci di chiudere la questione con un bollino le cui norme potrebbero oltretutto essere facilmente aggirate da chi vuole fare il furbetto. Esempi del genere ce ne sono anche troppi.

Io credo che sia importante, perciò, che la posizione di questa Commissione e del Parlamento poi sia coraggiosa nel denunciare gli effetti negativi e non abbia timore a farsi carico di proposte chiare che abbiano come unico obiettivo la salute dei cittadini e dell’ambiente.